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mercoledì 1 dicembre 2010

MILANO - Il museo del 900 a Milano






Il Quarto Stato per attraversare il 900
Il quadro di Pellizza da Volpedo icona del nuovo museo che s'inagura a Milano. Un secolo di arte



Se Museo del 900 dev’essere, allora bisogna effettivamente partire da una data, da quel 1901, anno in cui Pellizza da Volpedo terminò un celebre dipinto, Il Quarto Stato, che sancisce per sempre la fine di un’epoca e ne dà inizio a un'altra, con quei lavoratori che avanzavano in sciopero verso il “sol dell’avvenir”. Sarà proprio quest’icona della pittura (tutta giocata nei toni dell’ocra e del bruciato, come se i personaggi stessero emergendo dalla terra, sulla quale camminano) ma anche di un periodo storico, ad essere il simbolo artistico di questo nuovo Museo del 900 a Milano, terminato in 1100 giorni, e che dal 6 dicembre accoglierà il pubblico (fino a fine febbraio la visita è gratuita).
SECONDO I LUMIERE - Il dipinto de Il Quarto Stato ha cambiato per sempre sede: dalla Galleria di Arte Moderna a Villa Reale è stato collocato ora in questo museo con una movimentazione che ha richiesto una giornata intera di lavoro (foto mostrano le complicate fasi di “trasloco”). Ma qui sarà però “sotto vetro” (prima non lo era) in una nicchia nera e che si affaccia sulla rampa ad anello ovale che conduce ai piani superiori. Una sosta obbligata, di “culto” pubblico, e certo creerà un po’ di ressa davanti all’immagine (visibile anche dall’esterno dell’edificio).

                
VISIONI - Ma, prima e dopo questa visione emblematica del 900, ce ne sono altre due: venendo dalla metropolitana (c’è un ingresso che porta direttamente al museo) s’incontra la fontana di de Chirico ( I Bagni misteriosi) alla quale è stata restituita una dignità (era in disarmo nei giardini davanti alla Triennale ed è stata finalmente restaurata). E per vedere com’era la Milano di allora, ecco un filmato prodotto dai fratelli Lumière, girato nel giardino dell’ hotel Diana in estate, con i milanesi accaldati che si tuffavano in piscina.



DALLE OSSA DELL'ARENGARIO - Ricavato dalle “ossa” dell’ex Arengario, questo museo (progettato da Portaluppi, Magistretti, Muzio e Griffini e ora ritrasformato da Italo Rota con Fabio Fornasari) è un edificio che da 65 anni è alla ricerca di un’identità adulta, che ha finalmente trovato (negli anni Venti doveva essere museo della nascita del Fascismo, poi negli anni Ottanta fu anche Palazzo del Turismo). 8500 metri quadrati di spazi, di cui 4500 espositivi, un ristorante, 28 milioni di euro spesi. Dal 6 dicembre, il museo accoglierà il pubblico, con una ricca collezione di 350 opere dei nomi più celebri del panorama italiano e celebrati anche all’estero (Morandi, Melotti, Fontana, Marini, Sironi, Campigli, De Pisis e Licini il cui Angelo ribelle è in “dialogo” con la Madonnina attraverso un lucernaio) arrivando anche a considerare i maestri del nostro tempo più contemporaneo.

CON GLI OCCHI AL DUOMO - Come Colombo, Manzoni, Anselmo, Pistoletto, Merz, Penone e Paladino che qui interverrà con un’installazione: cento scarpette d’argento che “correranno” su un pilastro, dal basamento fino in alto. Lucio Fontana è sicuramente la star di questo nuovo museo, passando sul sagrato del Duomo basterà alzare gli occhi al cielo per incrociare il suo arabesco al neon.

Francesca Pini

Dal Corriere della Sera

ROMA - Casa Moravia diventa un museo

Foto LA Repubblica


LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 1
Casa Moravia diventa un museo
Apre al pubblico lo studio dove lo scrittore lavorava e riceveva gli amici. Maraini: battaglia lunga 20 anni



Il ritratto di Moravia realizzato da Renato Guttuso (Ciofani)

È stata la casa del grande scrittore. Diventerà un museo da visitare. Per vedere dove Alberto Moravia riceveva i suoi amici o si sedeva a scrivere i suoi libri bisognerà andare in Lungotevere della Vittoria 1. Lì l'abitazione dell'autore della «Noia» e degli «Indifferenti» sarà aperta a tutti dopo la presentazione in Campidoglio dell'iniziativa fortemente voluta dall'associazione Fondo Alberto Moravia presieduta da Dacia Maraini. Dal 1 dicembre lo studio diventerà Casa Museo Alberto Moravia. La casa-museo si potrà visitare su prenotazione e in gruppi massimo di 15 persone. A gennaio partirà la didattica per le scuole.
IL TERRAZZO - L'appartamento, oggi sede dell'associazione Fondo Alberto Moravia, è composto da un salotto con un ampio terrazzo con affaccio sul Tevere, una cucina stile anni '70, una camera da letto e lo studio; appesi alle pareti numerosi quadri e ritratti dello scrittore italiano dipinti da diversi artisti, da Renato Guttuso a Mario Schifano, da Sergio Vacchi a Giulio Turcato passando per Corrado Cagli e Lorenzo Tornabuoni. Durante la visita si potranno ammirare la biblioteca personale di Moravia e un archivio con oltre 15 mila documenti tra lettere e manoscritti, ma anche la collezione di oggetti e maschere provenienti dai numerosi viaggi fatti dallo scrittore in Africa, Asia e America del Sud. Tra le opere pubblicate dopo il trasferimento dello scrittore insieme a Dacia Maraini nell'appartamento del quartiere delle Vittorie ricordiamo: 'La rivoluzione culturale in Cinà, 'Il paradisò, 'Io e luì, Il viaggio a Romà, 'L'inverno nuclearè, 'Passeggiate africanè e 'Romildò.

DACIA MARAINI - «Credo che la città di Roma - ha detto Maraini , per molti anni compagna dello scrittore-, alla quale Alberto ha dedicato tanti suoi scritti, doveva avere il piacere di conoscere la casa di Moravia. È stata una battaglia durata vent'anni, ma ce l'abbiamo fatta. Questa deve diventare un'occasione per riflettere».


Dal Corriere Della Sera

ROMA - La metro (B1) ancora non c'è ma i treni costano 150 milioni


Assestamento di bilancio, le cifre, le polemiche: «manovrina» da oltre 120 milioni di euro

ROMA - Debiti per comprare i treni della metropolitana, e spese correnti per le «attività istituzionali», per l’aula Giulio Cesare, per il Teatro dell’Opera, per il piano nomadi. Ma anche qualche spicciolo per adeguare il logo di Roma Capitale, per il progetto Millennium, per gli uffici comunali. C’è un po’ di tutto, dentro l’assestamento di bilancio che — a soli tre mesi dall’approvazione della manovra annuale — si appresta a varare il Campidoglio e che dovrebbe essere votato dal consiglio comunale tra stanotte e domani all’alba.

Una «manovrina», che si compone di due parti: 29 milioni di spesa corrente, 193 di investimenti. Ed è proprio questa voce, e l’utilizzo di quei fondi, che fa discutere. Perché il Comune, e quindi i cittadini romani, si indebiteranno non per vedere realizzate grandi opere infrastrutturali o interventi di ampia portata, ma per la necessità di acquistare i treni della linea B-1, che ancora non c’è: 150 milioni se ne andranno solo per questo, il capitolo di spesa più grande. Sempre negli investimenti, previsti 13,4 milioni per il sottopasso Malafede via Ardeatina, 2 milioni per la riqualificazione delle pendici del Pincio, 6,3 per la manutenzione urbana. Nella parte corrente, le spese più significative sono per finanziare il Teatro dell’Opera (altri 5 milioni) e sul sociale: 600 mila euro per la Casa S. Bernardo, 4,7 milioni per l’assistenza alloggiativa nomadi, 1,5 milioni per la manutenzione degli immobili di via Salaria, un milione per la comunità.

Ma è tra le spigolature che spuntano le curiosità. Per l’elaborazione del «Progetto Millennium» servono 500 mila euro, per una perizia sul conferimento del centro carni 100 mila, per l’aula Giulio Cesare si devono tirare fuori mezzo milione più 400 mila per i beni strumentali dell’assemblea capitolina, per gli straordinari della Polizia municipale servono 974 mila euro. Alcune voci sono poco chiare, come i 3,6 milioni per spese istituzionali: «Pensiamo — dice Alfredo Ferrari, Pd — che facciano riferimento al gabinetto del sindaco, ma abbiamo chiesto ripetutamente la specifica». L’opposizione ha presentato circa 4 mila emendamenti, con quelli della maggioranza si superano i 5 mila. Il Pd ha una richiesta: «Anziché spendere 150 milioni per dieci treni della metro, si potrebbero distribuire meglio quelle risorse. E poi c’è il problema delle minori entrate: 18 milioni in meno, principalmente tra Ici e suolo pubblico».

Non è solo l’assestamento il nodo da risolvere. Nei cassetti dell’amministrazione, infatti, ci sono circa 130 milioni della legge su Roma Capitale che sono fermi, bloccati da anni. Soldi che erano destinati alle opere pubbliche, e che il governo — se lo volesse — potrebbe anche riprendersi e destinare ad altre emergenze. Interventi più o meno grandi, da piazza Augusto Imperatore (17 milioni) agli ex Mercati generali (4,5 milioni); dallo svincolo degli Oceani al Torrino (10,9) al lungotevere Pietra Papa, fino a tutta una serie di opere di viabilità, più o meno grande. «Quei fondi — dice Mirko Coratti, Pd — vanno sbloccati al più presto, perché consentirebbero alla città, in questo momento ferma, di ripartire». Una piccola tranche potrebbe essere «liberata» dalla giunta già mercoledì, quando si dovrebbe approvare lo stanziamento per piazza Augusto Imperatore.

Ernesto Menicucci

Corriere della Sera

MILANO - Luminarie, ancora polemica «Via dall'Ago e Filo di Cadorna»





NUOVI PROBLEMI PER IL TITOLARE DELL'ARREDO URBANO DOPO TORRE DI LUCE E AUGURI MULTILINGUE
Luminarie, ancora polemica
«Via dall'Ago e Filo di Cadorna»
Festival Led, Gae Aulenti alla Moratti: cattivo gusto. L'assessore Cadeo: risponderò


Più che luce: scintille. Polemiche al fosforo. L'ultima è scoppiata in piazzale Cadorna proprio alla vigilia dell'inaugurazione del Festival internazionale Led. L'architetto Gae Aulenti ha visto l'installazione luminosa che fascia l'«Ago e Filo», s'è rabbuiata, non voleva crederci, ha alzato il telefono e presentato una richiesta precisa al sindaco Letizia Moratti: tirare giù quelle luminarie da sagra di paese, staccarle, spegnerle, e mostrare un po' di rispetto, riportare decoro, suvvia. Il sindaco ha ascoltato lo sfogo e chiesto all'assessore al Decoro urbano, Maurizio Cadeo, di trovare una soluzione. Apriti cielo. Cadeo non ha gradito affatto la richiesta di Gae Aulenti: l'assessore, deus ex machina del Festival, ha già dovuto piegarsi al diktat dalla Soprintendenza sulla torre a specchi in piazza Duomo (spostata in via Beltrami) e fare dietrofront sugli auguri multietnici di via Padova, prima rimossi e poi riammessi dal sindaco (ancora assenti, peraltro). L'attacco dell'architetto Aulenti - sbotta coi suoi - è ingiustificato, pretestuoso. Insopportabile.

Cadorna è l'ultimo fronte aperto sulla via di Led, la rassegna che dal 4 dicembre al 10 gennaio accenderà Milano con 60 opere luminose tra installazioni, proiezioni, bagliori di design su monumenti e palazzi. Piazzale Cadorna, il nodo di traffico riprogettato nel 2000 dall'architetto Aulenti e impreziosito dall'«Ago, Filo e Nodo» di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen, è uno degli spicchi della Milano illuminati dal Festival. Il progetto per il piazzale della Stazione Nord, approvato dalla Soprintendenza, è firmato da Ginevra Formaglio (categoria «Award Studenti»), s'intitola «Filo di luce», veste interamente la scultura e vuole valorizzare «uno dei simboli più indicati per creare atmosfere scintillanti». Valorizzare? Un'operazione di cattivo gusto, avrebbe detto al sindaco l'architetto Aulenti.


I progetti di Led sono stati selezionati attraverso un concorso internazionale di idee: «Non si possono mica togliere così, per un capriccio», riflettono all'assessorato al Decoro urbano. Per altro, gli sponsor privati mettono due dei tre milioni del budget complessivo della rassegna: «Va concordato anche il minimo ritocco». L'assessore Cadeo sta preparando una replica al curaro per l'architetto Aulenti: non vuole cedere, non stavolta, ha già abbozzato sul torre in piazza Duomo e sulla via Padova multilingue. Piazzale Cadorna è la Maginot del Festival: la difenderà. Ieri, intanto, ha rilanciato la sua filosofia di una Milano «splendente», chiedendo «cento, mille, un milione di lumi in occasione dell'8 dicembre, festa dell'Immacolata: invito tutti i milanesi ad esporre una candela sui davanzali delle finestre e sui balconi». L'iniziativa, condivisa con la parrocchia del Duomo, vuole rafforzare il legame tra le feste di luce organizzate nelle città gemellate di Milano e Lione: «La luce - conclude l'assessore - è simbolo di vita, fede e speranza».
Armando Stella

Dal Corriere della Sera