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martedì 13 ottobre 2009
MILANO - Shopping in crisi, è la fine dei piccoli
CAMERA DI COMMERCIO: METÀ DELLE NUOVE APERTURE HANNO TITOLARI STRANIERI
Esercizi commerciali e vetrine storiche decimate da difficoltà economiche e accesso ai fidi bancari
MILANO – Battono in ritirata, abbassano le saracinesche e mettono in vendita al miglior offerente. La Milano dei piccoli negozi, spesso storici, chiude i battenti. Non regge più di fronte alla crisi economica e alla difficoltà di accedere ai fidi bancari. Poco fuori dal centro, i quartieri che fino a 4 anni fa erano considerati commerciali, sembrano senza vita, privi delle vetrine e della vivacità dello shopping. Si è spenta viale Corsica, la zona di Lambrate, ma anche la zona intorno ai Navigli-Tortona e nel quartiere della moda, tra via Sciesa e viale Montenero.
I numeri della crisi. Davide, 41 anni, proprietario di un bar sulla strada per l’aeroporto di Linate, sopravvive a fianco di un panificio in vendita da due anni: «Non vendeva più – ci racconta – la gente preferisce il pane di plastica dei supermercati. Ma anche io faccio fatica. Il mio giro di clienti è diminuito del 20% e resisto, ma se dovessi arrivare a meno 40% sarei costretto a chiudere anche io». A due passi dal bar di Davide, ci sono due profumerie storiche di viale Corsica costrette a chiudere. In tempo di crisi economica creme e prodotti di bellezza sono i primi a saltare dai costi familiari. I dati dell’Unione artigiani di Milano parlano chiaro: a fronte del 28% in meno delle imprese che aprono in provincia, si registra un 8,5% di cessazioni di attività.
L’avanzata degli stranieri. Dai dati della Camera di Commercio, inoltre, emerge un fenomeno abbastanza sotto gli occhi di tutti i milanesi: l’avanzata dei commercianti stranieri, soprattutto arabi e cinesi. Tra le nuove iscrizioni, soprattutto nella ristorazione ma anche nel commercio al dettaglio, le ditte con titolare straniero rappresentano la metà delle nuove aperture (rispettivamente: il 52,3% e il 43,6%). Invece il peso percentuale si abbassa sulle cessazioni: solo una ditta su tre con titolare di origine straniera ha chiuso nei primi sei mesi del 2009.
L’unione artigiani mostra ottimismo. Commenta questi dati Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani di Milano: «Notiamo più che un aumento della chiusura di attività, un decremento delle nuove aperture. Ciò significa che chi ha un’impresa tende a non venderla e resiste, ma pochi hanno il coraggio di aprire una nuova attività. I negozi che aprono e che chiudono fanno parte di un turn over fisiologico, ma la crisi nel 2009 ha fatto sì che la gente è spaventata e non rischia nell’impresa». «Il settore delle manifatture è quello che soffre di più – continua Accornero - infatti speriamo sul Piano Casa, che dovrebbe riavviare le piccole ristrutturazioni e ravvivare il mercato». In effetti, uno dei nodi più preoccupanti per i piccoli commercianti e per gli artigiani che hanno bottega e negozio è l’accesso al credito, ma anche in questo caso il segretario dell’Unione è ottimista: «E’ un triste paradosso che le banche non prestino soldi alle imprese in difficoltà, ma vediamo segnali di ripresa. Come Unione, infatti, presentiamo le domande di credito e garantiamo per il 50-80 per cento. Mentre nel 2008 le domande da noi presentate erano accolte per il 67%, nel 2009 c’è stato un calo al 37%. Ci solleva il fatto che nei mesi di luglio e settembre sembra esserci un’inversione di tendenza: le banche hanno accolto le nostre domande nel 48-49% dei casi».
Il credito bancario, un miraggio. Nel fido bancario spera Michela, una delle artigiane più glamour di Milano. Il suo negozietto, Oplà, pieno di chincaglierie da lei create ed oggetti vintage è fra i più spiritosi e colorati della zona Navigli-Tortona. Una delle prime allieve dello Ied, menzionata più volte da Vogue da Glamour per le sue piccole opere d’arte di bijotteria, fa fatica a continuare la sua attività. «Vendo solo nel periodo del Salone del Mobile e con alcuni stranieri che passano. A Milano mancano le iniziative per portare turismo – si lamenta – e oramai le banche non mi offrono nemmeno un fido che sarebbe fisiologico per andare avanti e anticipare i pagamenti». Non si investe più. Anche Valeria, che importa oggetti etnici dall’Oriente e ha rilevato Lila, un negozio aperto da 20 anni, sta aspettando la risposta di una banca: «Abbiamo tagliato sui viaggi e compriamo l’indispensabile. Senza questo credito sarò costretta a fare i salti mortali». I salti mortali, dal letto al forno, li fa ogni notte alle 3 Giorgio Artioli, panettiere di Lambrate. Da 35 anni sforna pane e stringe la cinghia: «Lavoro 15 ore al giorno e la mia fortuna sono i bar e i ristoranti (oramai tre su quattro sono cinesi), che mi chiedono grandi quantità di pane. So fare solo questo da quando avevo 14 anni. Spero solo che quando scadrà il mio fido, fra due anni, questa crisi sarà passata».
Ketty Areddia
Dal Corriere della Sera
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