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venerdì 8 aprile 2011
ROMA - l nuovo Palazzo dei Congressi di Massimiliano Fuksas: una storia tutta italiana.
‘In Cina si costruisce un aeroporto in due anni, a Roma per un museo o un auditorium ce ne vogliono più di dieci. Shenzen sta finendo, mentre sul Palazzo dei Congressi dell’Eur siamo appena al 32 per cento dell’importo lavori. C’è qualcosa che non va’. L’architetto di fama internazionale Massimiliano Fuksas proprio non ci sta e, dalle pagine del settimanale L’Espresso dove lui stesso cura la rubrica d’architettura che fu di Bruno Zevi, intervistato da Alessandra Mammì, lancia il suo ‘j’accuse’ alla Capitale; Qui, dice, si punta ad aggiustare, rimediare, senza pianificare niente. L’architetto non è noto per avere un carattere facile (è stato ampiamente riportato dalle cronache, all’incirca un anno fa, il suo presunto scontro in un ristorante romano con l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso), eppure questa volta sembra non avere tutti i torti. Ma, per capirci qualcosa, conviene cominciare dall’inizio.
Corre l’anno duemila quando lo Studio Fuksas si aggiudica un concorso internazionale, indetto da Comune di Roma e Eur spa, per la realizzazione del nuovo Centro Congressi da ventisettemila metri cubi da far sorgere nell’area compresa tra via Cristoforo Colombo, viale Asia, viale Shakespeare e viale Europa. Il progetto consiste in una suggestiva ‘nuvola’ di fibra di vetro e silicone (l’auditorium da 1.800 posti), una ‘non-forma’ sospesa all’interno di una teca di acciaio e vetro, trasparente, alta 32 metri e larga 75. A livello inferiore, la sala congressi vera e propria da 7.000 posti. Si prevedono, inoltre, a completamento del complesso, spazi per la ristorazione, un hotel e parcheggi sotterranei ed esterni. Simbolicamente lo si può leggere come un tentativo di far convivere razionalismo romano – la teca - e genialità barocca – la nuvola - , ma è, soprattutto, un progetto dei grandi numeri e delle grandi attenzioni, con enormi fondamenta, che richiede una precisione millimetrica in fase esecutiva. Una delle più grosse opere pubbliche degli ultimi anni.
Si tratta di un’operazione in grado di cambiare il volto dello storico quartiere voluto da Marcello Piacentini, che pure annovera già il vecchio Palazzo dei Congressi, capolavoro di Adalberto Libera. In realtà il Comune pensa in grande, vale a dire colmare la lacuna del turismo congressuale e attirare nella Capitale anche quest’importante fetta di mercato. Non è un caso che l’operazione si collochi all’interno di un rifacimento del look generale dell’Eur, che al progetto di Fuksas dovrebbe vedere affiancarsi anche un complesso di abitazioni e uffici firmato Renzo Piano, la demolizione delle due torri degli anni Sessanta (opera di Cesare Ligini), e una riqualificazione del famoso Palazzo della Civiltà.
Siamo, intanto, già al 2003 quando la Centro Congressi Italia – consorzio privato di proprietà del parlamentare e imprenditore barese Carmine De Gennaro – vince l’appalto per la costruzione dell’opera di Fuksas in project financing, cioè da realizzarsi con la partecipazione del Comune di Roma che attinge la sua quota dai finanziamenti per Roma Capitale. Sembra dunque che tutto sia destinato a procedere per il meglio e, si spera, in tempi brevi ma ecco l’amara sorpresa: la società di De Gennaro non si decide a dare il via ai lavori e, dopo due anni di rimpalli e scambi di accuse reciproche tra la Centro Congressi Italia e lo stesso Comune di Roma, getta la spugna. Nel frattempo, oltre ai tempi, sono cresciuti anche i costi, dai 130 milioni di euro calcolati nel duemila a ben 225 milioni. Fuksas comincia a spazientirsi e tuona, a ragione, contro la mancanza in Italia di una seria classe imprenditoriale.
E’ il 2007 quando la Società Italiana per Condotte d’Acqua vince la nuova gara d’appalto e subentra all’impresa di De Gennaro. Il cantiere apre ufficialmente a dicembre di quell’anno. I lavori dovrebbero durare sulla carta tre anni, in realtà, ne sono già passati quattro. Recentemente interpellato, Massimiliano Fuksas spera nella fine dei lavori per il 2012, importo totale 277 milioni di euro. Chissà se oggi rifarebbe il concorso sapendo quali lungaggini burocratiche e politiche lo attenderebbero. Ben tre sindaci hanno fatto in tempo ad avvicendarsi: Rutelli, il primo a credere nell’idea del centro congressi, Veltroni ed, infine, Alemanno.
Nel frattempo Roma è forse diventata una città più vivibile, con efficienti infrastrutture e un adeguato sistema di trasporti? Dispiace constatare che la città soffre di un evidente degrado e lo stesso Fuksas, tornando all’intervista de L’Espresso, parla di fatale indolenza ed auspica che si ricominci a parlare seriamente di infrastrutture ed urbanistica: ‘Roma, da un certo punto di vista, ha recentemente acquisito architetture culturali importanti come il MaXXI di Zaha Hadid, il Macro di Odile Decq, l'Auditorium di Renzo Piano. Ma, come ho detto, non ha un aeroporto degno di una metropoli di quattro milioni di abitanti (di cui solo 170 mila abitano il centro storico, nda). Il sistema dell'alta velocità, che dovrebbe connettere tutta l'Italia - Est con Ovest, Sud con Nord - si interrompe qui. Non ci sono mezzi pubblici veloci che colleghino le suddette architetture. Insomma: se si vuole un palazzo dei Congressi all'Eur bisogna subito pensare a come portarci i congressisti, che presumibilmente arrivano in aereo o in treno’.
C’è bisogno, dunque, non solo dei grandi musei, ma anche di una rete della metropolitana ben distribuita, di un aeroporto ben funzionante, di una pianificazione intelligente nello sfruttamento degli spazi pubblici. La buona architettura è anche quella capace di rispondere alle esigenze dell’uomo, nella consapevolezza che la città ideale non esiste ma può essere resa un posto più vivibile. Per concludere con le parole dell’architetto: ‘L’architettura del futuro verrà connotata in base a come saranno gli uomini del futuro. È un errore pensarla ancora come ad una disciplina autonoma. [..] Non avere una visione del futuro implica il perdere di vista la missione più importante dell’essere umano, ossia quella di fabbricare una società per gli altri’.
Da Arskey
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