L’Elfo trasloca, proteste alla Paolo Grassi
Com'era stato da tempo annunciato, la sigla «Teatridithalia», senza abbandonare del tutto il Teatro dell'Elfo (che solo dalla stagione 2010-2011 sarà assegnato a un altro organismo drammaturgico), a partire dal 5 marzo prossimo avrà a disposizione, nel rinnovato «Puccini» di corso Buenos Aires, ben tre sale deputate alla produzione.
Ossia a disposizione della compagine che da sempre fa leva sui nomi, fraternamente accorpati, di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, che sono un po' i dioscuri della scena milanese. I quali tuttavia, all'annuncio dei titoli in cartellone previsti per la stagione in fieri appena presentata, fanno leva - chi l'avrebbe mai detto - più sui classici evergreen della storia del teatro che sulla sconvolgente, e spesso discussa, proposta di quei testi contemporanei scelti troppo spesso più per il loro significato di violenta polemica con l'establishment vigente che per autentici valori poetici. Presenti fin nella denominazione delle sale, la prima di 580 posti chiamata Shakespeare, la seconda di duecento dedicata a Fassbinder mentre la terza, più elitaria data la modesta capienza di non più di cento posti, è stata battezzata Bausch in omaggio alla pioniera della danza tedesca. Ma non crediate che la dislocazione degli spettacoli da un luogo all'altro del «Puccini» obbedisca al rigore di una classificazione.
Dato che la Shakespeare ospiterà la sera dell'inaugurazione la versione integrale di «Angels in America», la triste metafora sulla peste Aids di cui l'anno scorso è andata in scena la prima parte «Si avvicina il millennio». Testo, per carità, emblematico della fine sia fisica che spirituale della generazione di Woodstock, che auspicava l'abbattimento del sistema attraverso la trasgressione. Un tema che col Bardo ha assai poco a che vedere. Mentre del grande William andrà in scena, per ora, solo la ripresa del fortunato «Romeo e Giulietta» messo in scena da Bruni, in cartellone da più di un anno all'Elfo dopo il successo con cui fu accolto, l'estate 2008, al Teatro Romano di Verona.
Sempre non si scorga l'orma dell'autore di «Amleto» in «Ulyssage», il singolare esperimento di Claudio Collovà desunto dal classico per eccellenza del ventesimo secolo, l'«Ulisse» di Joyce, di cui sarà drammatizzato solo il capitolo dedicato all'Ade. Ma la vera novità di questa, che si annuncia come una stagione di trapasso con vistosi trasferimenti dall'uno altro spazio, risiede in una scelta di repertorio finora solo in parte affrontata dai «ragazzi terribili» da tempo stanziati in via Ciro Menotti. Che, al di là della loro ben nota propensione allo scandalo che quest'anno li vedrà impegnati nel revival dello scioccante «Shopping and Fuckin» di Ravenhill, presentato in passato in altre sedi sotto altre egide da altri registi (dal 15 aprile al 16 maggio nella versione di Bruni alla sala Fassbnder) si accentra su due novità di prestigio. La prima, frutto dell'ingegno di Joyce Carol Oates, autrice del famoso «Sorella, mio unico amore» che, sotto il titolo «Nel buio dell'America», è programmata alla Sala Bausch dal 7 aprile al 2 maggio, per la regia di Francesco Frangia. Mentre la seconda, che rientra tra le ospitalità e non tra le produzioni della compagnia, inalbera il titolo più ironico che oltraggioso di «Orson Welles Roast».
Che sarà, come prescrivono gli autori Battiston e De Vita, un omaggio a quel bastian contrario che è stato il cineasta di «Quarto potere». Richiamato in vita dai due eccentrici teatranti per infierire sui vizi (tanti) e sui vezzi (pochi) della cultura di casa nostra.
Nel corso della presentazione un fuoriprogramma, con gli allievi della Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi saliti sul palco per protestare contro la rimozione del direttore Maurizio Schmidt, annunciando due settimane di mobilitazione in cui verranno allestiti degli spettacoli gratuiti per sensibilizzare la città e chiedere la ricandidatura di Schmidt alla guida della scuola. «Non ero al corrente del loro intervento, li ho ricevuti e ho dato il mio impegno a risolvere la questione» ha risposto l’assessore Finazzer ai ragazzi. «Questo fuoriprogramma non è corretto, e vi danneggia di fronte alla politica, visto che io politico non sono», ha concluso l’assessore.
Da Il Giornale
1 commento:
Era ora che si sapesse qualcosa in merito, ci lavorano da secoli.
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